Il tempo passa… la vita si accorcia

un orologio simbolizza che il tempo passa e la vita è breveSecondo i dati relativi alle aspettative di vita. ognuno di noi ‘dovrebbe’ vivere fino a 70-80 anni al massimo. Di questi, pare che siano 26 gli anni trascorsi a dormire, il che ci lascia una media fra i 45 e i 55 anni di tempo ‘vissuto’.

Il modo in cui decidiamo di impiegare questo mezzo secolo di vita, sempre che ci sia concesso di viverlo interamente, ed è indubbio che l’attenzione prestata alla qualità del ‘tempo vissuto’ aumenta esponenzialmente con l’avanzare dell’età, così come la percezione del tempo è cambiata nel corso dei decenni e delle generazioni soprattutto a causa dell’aumento vertiginoso di stimoli e alla quantità di informazioni (spesso inutili) che bombardano letteralmente la nostra vita quotidiana, associato a una sempre maggiore sedentarietà e abitudini alimentari sempre meno salutari che di sicuro non aiutano ad aumentare l’aspettativa di vita da un punto di vista fisiologico.

 

Il tempo, un ‘investimento’ di valore

Questo articolo è dedicato al valore del tempo e dell’esperienza, ma la premessa era doverosa.

il tempo è denaroSe doveste tirare le somme riguardo al modo in cui avete investito il tempo fino ad oggi, indipendentemente dalla vostra età attuale, a cosa direste di aver dedicato realisticamente la quantità di tempo maggiore in assoluto? La domanda è fondamentale, in quanto è dalla risposta che si può dedurre in cosa consiste la vostra esperienza e da cosa deriva il ‘valore’ del tempo che attualmente potete dedicare professionalmente agli altri, che è poi l’oggetto principale di questo articolo (ci torno su fra poco, non temete).

Nel momento in cui lo scrivo ho già trascorso ben 633 mesi, ovvero 2750 settimane, ovvero 19.252 giorni della mia vita, di cui una parte considerevole (se escludiamo le ore di sonno e le incombenze quotidiane fondamentali e i rapporti sociali e familiari ‘dal vivo’) è stata trascorsa davanti a uno schermo e, in generale, con le mani su una tastiera e un mouse.

Spesso, quando faccio formazione, mi sento domandare “Come diavolo fai a ricordarti tutte queste cose?” oppure “Ma come riesci a prendere in considerazione tutti questi aspetti?”. Si chiama forma mentis, ed è infatti in gran parte definita dall’esperienza accumulata nel tempo e dalla formazione (in molti casi auto-didattica) che l’ha preceduta e accompagnata.

 

La tecnologia, ladra di tempo

la tecnologia come distrazione di massaA cambiare il nostro utilizzo del tempo nell’ultimo mezzo secolo è stata sicuramente la tecnologia, prima analogica e poi digitale. Il fatto che nella ‘fruizione’ della tecnologia siamo passati da una comunicazione unidirezionale e passiva (radio e TV) a una forma comunicativa bidirezionale e basata sull’interazione (informatica e Internet) ha rappresentato sicuramente un progresso dal punto di vista della stimolazione cerebrale ma questo progresso rischia da una parte di bombardarci di informazioni inutili e dall’altra di ridurre considerevolmente l’efficacia nel modo in cui impieghiamo il nostro tempo e i risultati che ne derivano, oltre che produrre un isolamento ‘reale’ a vantaggio della socialità ‘virtuale’.

La funzione di ‘distrazione di massa’, emersa con l’avvento della televisione ed evolutasi poi con il digitale e la Rete, ha spostato l’attenzione di moltissime persone da sé, dal mondo ‘reale’ circostante e da attività che in genere danno un senso di ‘pienezza’ e di soddisfazione maggiori e più durevoli, come la lettura, le attività creative o semplicemente il tempo trascorso vivendo intensamente e ‘dal vivo’ (quindi senza mediazione tecnologica) l’ambiente circostante e le persone che popolano ques’tultimo.

Se la tecnologia dapprima, e l’informatica in seguito, erano nate con la promessa di svincolarci da compiti noiosi e ripetitivi e restituirci il tempo che dedicavamo a questi ultimi, trasformando le nostre esistenze in ‘tempo da vivere’, il loro stesso utilizzo ‘fine a se stesso’ ha finito con l’assorbire quel tempo che avremmo dovuto dedicare ad altro. So che sto generalizzando, ma non posso evitare di pensare a quante persone spendono il loro tempo nel cercare di capire come funziona (o perché NON funziona) un qualsiasi prodotto tecnologico (hardware o software che sia), per poi utilizzarlo in maniera superficiale e per niente creativa o costruttiva.

Certo, ognuno è libero di impiegare il suo tempo, ovvero la sua vita, come meglio ritiene, ma se alla fine di ogni giornata sente di non averla ‘vissuta’ e avverte una scarsa qualità e uno scarso valore riguardo alle esperienze che hanno accompagnato le ore trascorse, forse è il caso di ripensare al suo rapporto con il tempo, soprattutto se queste considerazioni cominciano poi ad abbracciare un arco di tempo fatto di settimane, mesi o anni.

tecnologia come fonte di stressPersonalmente ho sempre ritenuto la tecnologia, l’informatica e Internet una combinazione fra paradiso e inferno, in quanto mi ha dato molte gioie e soddisfazioni e mi ha permesso di ‘formarmi’ professionalmente ma nello stesso tempo è stata spesso fonte di stress che probabilmente mi sarei risparmiato se i miei interessi fossero stati verso qualcosa di ‘analogico’ anziché il mondo digitale. Ancora oggi mi accorgo di come un semplice (si fa per dire) “intoppo” riesca a volte ad assorbire ore o addirittura giornate prima che possa essere risolto, così come la quantità abnorme di aspetti e variabili che vanno a costituire le attività informatiche può condurre a situazioni in cui diventa necessario procedere ‘per tentativi’ e ci si deve rassegnare a non trovare una spiegazione razionale per un’eventuale anomalia. Chi si occupa di informatica in modo prevalente e da molto tempo sa bene cosa intendo.

Spesso, però, sento che sarei stato forse più felice e sereno se avessi deciso di dedicarmi a qualcos’altro, anche se per quanto mi riguarda ho trovato il giusto connubio fra la passione che ho avuto sin da bambino, ovvero la scrittura e la comunicazione, e quella che poi (dopo i 20 anni) è diventata la seconda passione, ovvero l’informatica. Difatti sono stato in grado di abbinare con successo i due aspetti prima nell’Interactive fiction e poi nella divulgazione e nella formazione, il che fa di me un ‘informatico in senso lato’. Anche l’avere incontrato il mondo dei computer in un’età non più adolescenziale e la comunicazione online quando ero già avviato nella mia professione giornalistica e formativa ha contribuito a determinare quel ‘distacco’ che, unito appunto all’utilizzo ‘meno coinvolto’ della tecnologia ha in qualche modo alleggerito il peso che questa poteva avere nella mia vita. Ciò non vuol dire, naturalmente, che il tempo dedicatogli sia stato inferiore, ma solo che è stato distribuito in modo diverso e canalizzato verso una molteplicità di aspetti che, in una carriera informatica vera e propria, avrebbe probabilmente lasciato il posto a una ‘specializzazione’ nel senso stretto della parola.

 

Essere freelance, vantaggi e svantaggi

vantaggi del lavoro freelanceUno dei pregi dell’aver dedicato una quantità di tempo (ovvero di vita) considerevole al lavoro redazionale e didattico e alla tecnologia è stato quello di poter svolgere le mie attività lavorative quasi sempre in un ambito da ‘libero professionista’, il che mi ha consentito da una parte di gestire il mio tempo in modo più autonomo e flessibile e dall’altra di scegliere le attività lavorative cui dedicarmi e selezionare i miei clienti e ‘committenti’.

Ma essere freelance non significa solo libertà e autonomia, infatti ha la sua buona dose di lati negativi. Per esempio, il fatto che non si può contare su un reddito regolare e puntuale, in quanto soggetti all’andamento del mercato in cui si opera. Quando la crisi dell’editoria periodica ha falcidiato il mondo delle riviste che aveva rappresentato il mio ‘pane quotidiano’ per moltissimi anni, infatti, ho dovuto ‘traslare’ maggiormente verso nuove professionalità legate al Web, il che ha comportato un aggiornamento di competenze ulteriore che si sommava a quello già richiesto dall’informatica in generale.

gestione efficace del tempo da freelance

Un altro aspetto dell’essere freelance è legato proprio alla gestione autonoma del tempo, in quanto quest’ultima presuppone da una parte la capacità di saperlo impiegare efficacemente e dall’altra l’impossibilità frequente di poter usufruire di veri e propri periodi di ‘ferie’ o di ‘malattia’ anche quando sarebbero necessari. In alcuni casi mi è capitato proprio di lavorare durante le festività, perché magari il lavoro riguardava attività da gestire in tempo reale durante i weekend o nei giorni festivi, oppure di dover passare sopra al fatto di non essere in forma (per uno stato influenzale o altro) perché c’era un lavoro da terminare e consegnare con urgenza. I vantaggi che l’autonomia lavorativa offre, in ogni caso, riescono a compensare spesso abbondantemente gli svantaggi, quindi ciò che ho appena scritto era solo per precisare che l’attività di freelance non è tutta rose e fiori come qualcuno immagina.

Se poi all’essere freelance si aggiunge il fatto di poter lavorare indipendentemente da specifici ambiti geografici, utilizzando prevalentemente la Rete, allora i vantaggi aumentano come aumenta la possibilità di scegliere luoghi e destinazioni dove il rapporto fra qualità e costo della vita è più vantaggioso, al di là del piacere stesso di viaggiare diventando dei nomadi digitali. e potersi permettere, per esempio, di vivere quasi un anno in mezzo all’Oceano, alle Canarie.

 

Saper valutare il proprio tempo e la propria professionalità

Bene, possiamo a questo punto passare al nocciolo della questione, ovvero all’argomento su cui l’articolo era incentrato in origine: la corretta valutazione del proprio tempo e della propria esperienza.

Si tratta di un’esigenza che si avverte sempre di più col passare degli anni, e per due motivi. Da una parte, lasciandosi alle spalle il clima più spensierato della giovinezza, con il suo carico di impegni e responsabilità sicuramente ancora ridotto, comincia a ridursi gradualmente il tempo da ‘vivere’ rispetto a quello dedicato agli impegni, non soltanto lavorativi. Dall’altra, il crescere dell’esperienza, che si accumula con ore, giorni, settimane, mesi e anni di impegno in orari e giorni anche non esattamente ‘lavorativi’, si trasforma in un bagaglio e in un capitale che deve necessariamente trovare una sua collocazione professionale e acquisire il giusto valore.

semplificare la vita con il downshiftingIn passato mi era già capitato di assistere, nel mio lavoro giornalistico, a una progressiva ‘svalutazione’ del lavoro redazionale, che si traduceva quindi in un deprezzamento delle competenze e del tempo. La scusa, in quel periodo, era appunto la crisi crescente del settore. Di fronte alla crescente richiesta di scendere a compromessi e ‘svendere’ il mio tempo e la mia professionalità ho scelto, piuttosto, di ridimensionare il mio stile di vita e svincolarmi da esigenze che erano semplicemente dettate dal ‘sistema’, scegliendo di semplificare la mia esistenza con la via del downshifting. Ciò mi ha permesso di avere ancora la possibilità di scegliere come e dove investire il tempo che mi rimane da vivere, che dopo mezzo secolo è realisticamente ridotto, e di dargli un valore più consono e rapportato a quello ‘investito’ negli anni, anzi nei decenni. Tra l’altro, il downshifting può essere applicato anche al rapporto con la tecnologia stessa, oltre che con i ‘falsi bisogni’ della vita in generale.

Oggi, se devo ‘spendere’ un’ora del mio tempo controllo prima se ne vale la pena, ovvero se il controvalore è rapportato appunto al tempo e alle risorse che sto offrendo. E quando qualcuno cerca di ‘tirare sul prezzo’ con la giustificazione che quanto richiestomi posso svolgerlo in tempi brevi, gli faccio notare che per essere in grado di farlo ho dovuto impiegare, in precedenza, tempi molto più lunghi prima a imparare e poi a perfezionare l’abilità che mi consente, oggi, di essere abbastanza esperto da ridurre i tempi di esecuzione di quel particolare lavoro.

 

Le rendite passive, mito o realtà?

Oltre a dare un valore più equo al mio tempo e alla mia professionalità, ho progressivamente spostato la mia attenzione e i miei impegni verso attività che potessero continuare a conservare e produrre valore nel tempo piuttosto che esaurirsi, come controvalore, nell’immediato e a lavoro concluso. Sto parlando delle rendite passive, che come i più esperti in quest’ambito sottolineerebbero non sono mai del tutto ‘passive’ in quanto richiedono delle attività successive alla realizzazione della risorsa che genera tali rendita (per esempio un sito, un ebook o libro, un videocorso, ecc.), attività che consistono quasi sempre nella loro promozione ma che possono includere, come nel caso dei siti Web, attività di manutenzione e gestione, oppure attività di ‘content marketing‘ dove la produzione di nuovi contenuti ha il compito di sostenere e promuovere quelli già realizzati e ‘messi in circolo’ nel mercato. Anche se a queste attività legate alle rendite passive affianco ancora quelle di formazione e consulenza, sto riducendo progressivamente queste ultime e soprattutto mi sto allontanando da quegli ambiti che tendono a soffrire di obsolescenza rapida e precoce e orientando verso settori ‘sempreverdi’.

creare rendite passive con contenuti sempreverdi

 

Ma i contenuti hanno ancora un valore?

Concludo con una domanda provocatoria, soprattutto dal momento che viene posta in un momento storico in cui l’informazione si (s)vende ‘un tanto al chilo’ o addirittura si regala, spesso in cambio dei propri dati personali e dell’inserimento di questi ultimi in meccanismi di marketing selvaggio come le mailing list che farciscono le mailbox di tantissime persone.

La domanda è legata, infatti, proprio ad alcuni degli argomenti sopra esposti, e in particolare al valore che si dà (e che viene dato) al proprio tempo e alle proprie competenze, e alle cosiddette rendite passive.

disprezzo degli altriMi è capitato, infatti, di leggere commenti o recensioni a ebook (miei ma non solo) che costavano pochi euro, o addirittura meno di un euro, dove chi commentava scriveva che quel tipo di informazioni ‘si trovano facilmente e gratis andandole a cercare sul Web’. Probabilmente chi scrive queste baggianate prima di tutto non è vissuto in un’epoca in cui l’informazione si pagava e basta (sto parlando dell’editoria periodica, quando per un solo articolo si comprava, spesso a scatola chiusa, un’intera rivista), e in secondo luogo non ha presente che non tutti sono in grado di trovare, selezionare e spesso tradurre in forma comprensibile (sia linguisticamente sia tecnicamente) determinate informazioni, e che per fare questo e poterlo offrire ad altri che magari non saprebbero farlo, facendogli oltretutto risparmiare tempo prezioso, bisogna appunto investire tempo ed esperienza che hanno un valore.

Sarà anche vero, come dicevo all’inizio di questo paragrafo, che ormai la gente è abituata a trovare informazioni gratis in giro per il Web, e capisco che in molti casi questo ‘regalo’ è dettato da politiche di self-branding o dall’applicazione di meccanismi di rendita passiva basati sulle affiliazioni (questo articolo rientra appunto in entrambi gli ambiti). Ciò, infatti, proprio per gli obiettivi che come abbiamo visto dettano la pubblicazione di contenuti sotto forma gratuita, non può giustificare il ‘deprezzamento’ di contenuti realizzati e ‘venduti’ sotto forma di libro o di ebook, quando questi ultimi sono ovviamente validi anche perché, come molti probabilmente dimenticano o non sanno, da un ebook venduto, per esempio, a 2,99 euro l’autore ricava meno di due euro, e da un ebook venduto a 99 centesimi di euro ne ricava appena 35 centesimi. Chi si permette di bollare come ‘furto’ un prodotto del genere non merita neanche una risposta alle sue critiche e va considerato per quello che è, ma ogni tanto è giusto fare certe precisazioni. E, per fortuna, per un imbecille che disprezza il tempo, il lavoro e la professionalità altrui, ci sono decine o centinaia di persone intelligenti ed educate che li apprezzano e gli attribuiscono il giusto valore.

Ma avrò modo di approfondire questi argomenti in un articolo successivo sul valore dei contenuti e sul gratis, quindi per ora mi fermo qui (“E meno male!”, avrà esclamato qualcuno).