Nella narrativa lineare tradizionale non esiste quasi mai una vera e propria distinzione netta fra un ‘momento’ narrativo e quello che lo segue o precede, in quanto il fluire degli eventi, dei dialoghi e dei pensieri prosegue da un paragrafo all’altro e da un capitolo a quello successivo.
L’ipernarrativa, invece, prevede una serie di pagine che col passaggio dalla carta al digitale richiedono un processo di ‘isolamento’ ancora più netto, imponendo di conseguenza degli artifici tecnici volti a creare appunto questa distinzione fra ogni singola unità narrativa e tutte le altre. Affronterò l’argomento della ‘etichettatura’ delle unità narrative in un post separato, perché il tema di questo articolo è invece la terminologia utilizzata per descriverle.
Nei miei appunti tendo a definire ognuna delle unità narrative come scena, per quanto mi sia reso conto, col tempo, che se tale definizione può andar bene per una descrizione vera e propria (di un ambiente, di una situazione, ecc.) si presta meno bene per quelle unità narrative che fanno parte, invece, di un flusso di pensieri del protagonista e di altri personaggi oppure di un dialogo fra questi.
E voi, quale termine utilizzereste per definire ognuna delle unità narrative di un romanzo o racconto a bivi?
Secondo me, utilizzare la parola scena è corretto: la cosa importante è associarle una categoria mentale diversa da quella che siamo soliti utilizzare. Questa ri-associazione risulta più facile, in sede creativa, se ci muoviamo in quell’universo piuttosto che in quello della narrazione, operando quindi un isolamento tra l’ambito progettuale e quello di gioco.
Per spiegarmi meglio: dal punto di vista del lettore, la parola scena non deve mai entrare in gioco, e in nessun caso il testo narrativo né quello di servizio dovrà mai riferirsi al paragrafo o all’unità narrativa di per sé. Si dovrà unicamente riferirsi alle istruzioni per continuare la lettura, che potranno far riferimento sì a paragrafi / pagine diverse, ma indicandole con il numero o apposita indicazione (“etichetta”). La cosa migliore è specificare un’azione che si compierà nel contesto narrativo per operare il passaggio ad altro paragrafo: ad esempi, Se vuoi parlare con l’Orco vai al 5.
Questo isolamento semantico permette di lavorare con maggior disinvoltura, senza doversi preoccupare della presunta mancanza corrispondenza tra la scena (intesa come unità narrativa del libro) e la scena (intesa come segmento spazio-temporale dove si svolge la narrazione).
Grazie Marco, in effetti come tu stesso hai sottolineato il termine ‘scena’ va contestualizzato solo nell’ambito progettuale e di sviluppo, infatti era proprio in tale contesto che l’ho utilizzato finora nei miei appunti. Angiolino (cui mi riferisco con un link nelle risorse esterne) definisce l’unità narrativa come “paragrafo”, ma personalmente ho l’impressione che si confonda con il concetto tradizionale di paragrafo intesto come ‘elemento di testo racchiuso fra due punti’, di conseguenza faccio fatica ad assimilarlo e resto per ora fedele a ‘scena’. Sugli altri aspetti (numerazione+etichette, modalità di passaggio fra le ‘scene’), tutti interessanti, che menzioni nel tuo ricco commento pubblicherò presto dei post specifici che sono già nei miei appunti offline, e mi farà piacere se vorrai contribuire con un tuo parere anche riguardo a tali argomenti. A presto, e grazie ancora per il tuo validissimo contributo!
PS Complimenti per l’account email, sia per il nick sia per il gestore, e per il blog, ovviamente!
Ciao Bonaventura, e prima di tutto grazie mille per tutti questi complimenti, sei gentilissimo! 🙂
Pur non pretendendo di essere interprete del pensiero di Angiolino, ritengo che il termine paragrafo (nel contesto dello sviluppo) abbia la stessa semantica di scena, cioè è un “qualcosa” che identifica uno spazio narrativo di narrazione continua, dove al lettore / giocatore non si può nascondere nulla e dal quale, al contempo, si dipartono (eventualmente) due o più alternative.
Ritengo molto probabile che Angiolino (e la maggioranza degli autori di libri gioco) abbia utilizzato questo termine perché più affine al contesto editoriale tradizionale, contesto tutto sommato estraneo a chi sviluppa software di avventura testuale (a parte le edizioni in cassetta di metà degli anni ’80, ma quello è un altro discorso…).
Del resto, la potenza espressiva che si ottiene avendo a disposizione variabili, modificatori e salti condizionali può essere eguagliata solo da una notevole esplosione sul numero di paragrafi (o “scene”, che dir si voglia). Esplosione che, a lungo andare, rende ingestibile il lavoro di editing… e, facendo attenzione, molti dei librigioco più estesi sono anche quelli che contengono un maggior numero di “incongruenze”.
E, come tutti, aspetto con ansia la trascrizione dei tuoi appunti offline! ^_^
ps. a dire il vero, l’account su mclink ce l’ho da quanto ancora non aveva le e-mail (però arrivarono poco tempo dopo), e l’alias fu un omaggio al mio nick storico (e anche su quello potrei aprire una lunga paretesi…). Riguardo al blog… beh, quello è nato quando ho scoperto che avevo qualcosa da dire! 😉
Anche sul discorso della ‘esplosione di paragrafi’ pubblicherò qualcosa, riprendendo il pensiero di Enrico Colombini, intanto non posso che concordare sulle possibilità, ma anche le potenziali falle, che la disponibilità di variabili e altri strumenti inserisce nel contesto della ‘interactive fiction’, essenso stato io stesso sviluppatore di avventure testuali nel periodo d’oro del genere videoludico. Sicuramente avremo di che dibattere, e come avrai visto se hai cliccato sul primo link del mio ‘chi sono’ siamo entrambi utenti mclink, quindi abbiamo alle spalle tutta l’evoluzione dell’informatica personale mentre ci godiamo quella della letteratura digitale e, si spera, ipertestuale sugli innumerevoli dispositivi di lettura diretti (e-ink) e indiretti (app su dispositivi mobili) sempre più diffusi anceh qui in Italia.